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Falconara Albanese, 12 Aprile 2003 |
Un profilo storico della
comunità di Falconara Albanese.
Non è facile stabilire con
precisione l’anno in cui sia stata fondata Falconara Albanese,
soprattutto per mancanza di documenti scritti. Nonostante questo, un
inconfutabile punto di partenza per sviluppare la storia del paese è
dato dalle emigrazioni degli albanesi in Italia (1448-1825) avvenute in
sette distinti periodi. Falconara Albanese rientra nella terza
emigrazione (1468-1506), che possiamo definire la più numerosa: essa
avvenne dopo la morte di Giorgio Kastriota Scanderbeg e può suddividersi
in due ondate.
Nel 1470 circa tremila profughi giunsero in Puglia, ma tra il 1480–82
un folto gruppo di essi vennero ad insediarsi nella pre-Sila e nella
Valle del Crati. A questi si aggiunsero poi, tra la fine del XV secolo e
l’inizio del XVI altre colonie. La storia di Falconara Albanese va
congiunta al ricordo di una delle più celebri Badie di Calabria, quella
di Fontelaurato, in territorio di Fiumefreddo Bruzio, già monastero
greco restaurato e offerto ai Florensi da Simone di Mamistra e
Gattagrima di Fiumefreddo Bruzio, signori del luogo nel 1201. Essi
avevano vasti possedimenti lungo la costa tirrenica, concessi sia dai
signori locali, sia dai vescovi di Tropea. Sin dal 1267, il papa
Clemente IV, in un suo Breve, tra gli altri beni confermava il “
Tenimentum quod Falcunaria vulgariter appellatur, cum pratis, vineis,
terris, nemoribus, usuagis et pascuis, in bosco, in plano, in acquis, in
melondinis, in viniis, et semitis, et omnibus aliis libertatibus et
immunitatibus”. Decaduta dall’antico splendore, la Badia di Calabria si
ridusse a semplice beneficio commendato e riservato, con quello di Turiano, alla Santa Sede, e provveduto alla Sacra Congregazione
Concistoriale. Se la memoria tramandata da padre in figlio non fallisce,
essa anche nel presente dà testimonianza che Falconara fu fondata da
albanesi, ivi giunti, allorché la principessa Elena Kastriota, figlia di
Giorgio Kastriota Scanderbeg, si unì in matrimonio con il principe
Sollazzi di Bisignano la cui data dovrebbe riportarsi a metà del secolo
XVI. D’altra parte, quando re Alfonso vendeva, nel 1457, Fiumefreddo,
che faceva parte della baronia di Rocca Angitola, al conte di Tricarico
Luca Sanseverino, nella successione feudale non si accenna a Falconara e
neppure quando il feudo passò a Ferdinando del Alarcon, marchese di
Valle Mendoza. Dunque è da presumere che i coloni in Falconara dovettero
stanziarsi non sullo scorcio del XV secolo, ma verso il primo
Cinquecento e nei possedimenti della Commenda Badiale di Fontelaurato. I
primi albanesi non si stabilirono nell’odierna Falconara, perché nel
territorio esistevano già insediamenti indigeni. Questo è confermato sin
dal 1267 nei Registri del Romano Pontefice Clemente IV. Quindi è lecito
pensare che i primi albanesi si stabilirono in quella parte del
territorio sul litorale compreso tra i comuni di San Lucido e
Fiumefreddo Bruzio, a circa 30 km a sud-ovest di Cosenza, e precisamente
in quella zona denominata San Pietro sui terreni di Nicola Ringo presso
la fonte e l’aia, che conserva ancora oggi la denominazione albanese “ Kroi i lemit i kollaringut” (Fontana dall’ aia di Nicola Ringo). E fu
qui che incominciarono a nascere le prime rudimentali e provvisorie
abitazioni. Da una ricerca storica pubblicata nel 1896 sulla “Rivista
Storica Calabrese”, si afferma che Falconara fosse sorta con la venuta
di sette famiglie albanesi (Musacchio, Staffa, Candreva, Manes, Fionda,
Iosci, Scuragresco) da Shkodra (Scutari) e Kruja (Croia). Questa tesi
sembra essere priva di ogni supporto storico, come pure l’altra
indicazione che queste sette famiglie lasciassero l’Albania per venire
a fondare Falconara Albanese dopo che la Madonna del Buon Consiglio
apparve loro esortandole ad abbandonare la patria, invasa dai turchi, e
di mettersi in mare per cercare in Italia una terra più tranquilla. Gli
albanesi giunti in Calabria trovarono invece una situazione logorata
dalle lotte politiche tra Aragonesi e Angioini, dall’avidità dei baroni
feudali, dai frequenti terremoti. I baroni ed i feudatari erano
diventati tanto forti da sostituirsi, di fatto, all’autorità regia. Il
feudalesimo, rafforzatosi sotto gli Angioini per il fatto che Carlo I fu
costretto ad infeudare molte terre demaniali per ricompensare i
cavalieri che lo avevano sostenuto nella conquista del potere, diventa
ancora più potente sotto il governo degli Aragonesi. Durante il regno di
Giovanna I, l’autorità regia è costretta a subire l’assalto dei baroni,
che occupano perfino le terre regie; i regni di Carlo III e di Ladislao,
per la loro breve durata, non riescono a ricomporre l’autorità regia;
Giovanna II le dà un ulteriore scossone aprendo la lotta tra Ludovico
III ed Alfonso d’Aragona, il quale ultimo, per fini di potere, si
appoggiò ai baroni, non tenendo conto delle autonomie cittadine, dei
loro privilegi e delle loro franchigie. Poche grandi famiglie
possedevano immense estensioni di terre; in Puglia, vastissimi erano i
possedimenti degli Orsini, i Sanseverino, i Caracciolo, i Grimaldi, i
Ruffo erano i signori incontrastati della Calabria, dove avevano
numerosi possedimenti. E’ uno dei periodi della storia calabrese di
forte “decadimento civile ed economico a cui non erano estranee cause di
ordine naturale come la pestilenza e il degradamento delle contrade, con
relativo spopolamento”.
I baroni feudali ed ecclesiastici sfruttarono la miseria degli albanesi
inserendoli nei lavori più umili e controllandoli a vista perché
ritenuti “barbari e rozzi” a causa dei loro riti magici, del loro credo
religioso, delle loro tradizioni, sconosciute alle popolazioni
autoctone. In tale contesto storico sociale, gli immigrati albanesi che,
per necessità obiettiva, avevano dovuto chiedere asilo ai baroni, laici
ed ecclesiastici, si venivano a trovare in una situazione di estrema
precarietà; le Universitates e i popolani, nella convinzione che essi
fossero fedeli sudditi dei feudatari, non li vedevano di buon occhio e
non perdevano occasione di invocare contro di loro severe misure. Il
clero latino locale all’inizio non li considerò scismatici, infatti le
capitolazioni furono firmate dai Vescovi di Cassano e di Bisignano
perché esisteva l’unione tra la Chiesa Romana e la Chiesa Greca,
stabilita nel 1436 al concilio di Firenze. Ma spesso, la cristiana
pietas veniva proprio a mancare nei maggiori esponenti del clero di rito
latino con in testa quelli di Cosenza, Anglona-Tursi e Rossano i quali
non facevano altro che fomentare la zizzania perché gli albanesi si
rifiutavano di abbandonare il rito greco-bizantino. Tale atteggiamento
da parte del clero latino era dovuto, oltre che dalla volontà di
convertire i “barbari” al rito latino, alla necessità di non farsi
sfuggire gli emolumenti, derivanti dalle decime, che gli albanesi, di
rito greco, non erano tenuti a corrispondere. E’ difficile stabilire
come e quando avvenne lo spostamento dal primo insediamento, presso i
possedimenti di Nicola Ringo, all’odierna Falconara. Certo è che nel
1543 essa fu enumerata per 51 fuochi, pari a 163 abitanti. Ed ancora nel
1545 la sua popolazione fu tassata per fuochi 57. Dopo tale data, gli
albanesi, convinti del ruolo indispensabile circa la vita economica del
casale, a mano a mano si inserirono in pieno nella vita sociale, tanto
da capovolgere a loro favore gli avvenimenti religiosi, sociali ed
economici. I pochi nuclei familiari già preesistenti nel territorio
assimilarono in pieno la loro cultura, e dopo qualche decennio si
avranno anche i primi matrimoni misti (tra albanesi e calabresi) come si
evince dal Libro Matrimoniale che comprende gli atti matrimoniali dal
1601 al 1621 conservato nell’archivio della Parrocchia di Falconara
Albanese.
Fausto Pugliese
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