La Figura e l'opera di Don Bernardino Lupi a Falconara Albanese.
Non ho conosciuto don Bernardino Lupi: il mistero della morte l'avvolse nel suo grembo, ultra ottantenne, pochi mesi dopo la mia nascita, nel 1952. L'impronta della sua azione umana e pastorale e della sua figura, però, continuarono a diffondersi, come un'eco ben percettibile, per molti anni nelle generazioni che lo conobbero e, per riflesso, anche in quella della mia età, lasciando una traccia indelebile.
Oggi, con gli inevitabili limiti dovuti alla mancanza di fonti scritte e con il rischio di cadere in luoghi comuni e nella retorica, ma con affetto sincero, tento di scavare nella memoria lontana qualche dato, un
po' sbiadito, per ricordare un uomo, che avrebbe meritato negli anni, maggiore attenzione per il suo contributo nel campo della cultura, rapportata ai tempi, e il suo impegno nell'azione sociale.
Quando in passato mi recavo nel cimitero di Falconara Albanese, non potevo fare a meno di soffermarmi dinanzi alla sua tomba, un
po' particolare per un uomo particolare. Mi veniva in mente un'idea di
Zarathustra. L'uomo deve sempre adoperarsi a costruire da sé le virtù, come la rondine, in primavera, sceglie le pagliuzze più soffici e sottili per il proprio nido; poi, soddisfatta per l'opera realizzata, si adagia nel calduccio ed offre gratuitamente il suo amore ai rondinini, come la mamma ai propri figli. Questo in sintesi, fu Don Bernardino: una figura di grande levatura culturale e religiosa, che mise da parte ogni mania di grandezza ed egoismo, per vivere in mezzo alla sua gente e condividerne i problemi e le ansie facendoli suoi e vivendoli, in un periodo storico tormentato dalla guerra e dalla miseria postbellica, in un ambiente socio-economico e culturale arretrato e difficile, senza vie di sbocco all'orizzonte. Egli, con la sua opera di evangelizzazione e di assistenza materiale e morale, indistintamente rivolta verso i più
bisognosi e diseredati, e la sua chiesa, si imposero come punto di riferimento stabile e sicuro in quel contesto storico, senza indugi, squilli di tromba o tintinnar di monete.
Per mezzo secolo fu arciprete e parroco di Falconara Albanese, della parrocchia di San Michele Arcangelo. Pur avendo le possibilità e le capacità, non si allontanò mai dal suo ambiente, se non per svolgere la sua funzione di docente di Italiano e Latino presso il Liceo Ginnasio "B.
Telesio" di Cosenza. Era un profondo conoscitore della Divina Commedia di Dante, alla quale sapeva dare valide e originali interpretazioni personali, riferite al medioevo, nel suo contesto storico e culturale e rapportate ai testi biblici, umanistici e filosofici. Purtroppo, i suoi quaderni non sono stati valutati nella giusta maniera e valorizzati, dopo la sua morte. Forse sono stati smarriti o sottratti, così pure le traduzioni e i commenti a vari classici della letteratura latina. Sono convinto che i suoi scritti sarebbero stati oggetto di studio e chissà, forse presenti in qualche antologia di critica letteraria.
Oltre alla profonda fede religiosa, nutriva una forte convinzione, che era diventata prepotentemente un dovere civile da attuare a tutti i costi: solo attraverso la cultura, la formazione e un ideale i giovani potevano sperare in un domani migliore, ed era possibile, nel contempo, un riscatto dall'emarginazione che attanagliava l'ambiente circostante. Per questo motivo, riuniva nella sua abitazione, appena all'inizio della salita di via
Manesato, quanti dimostravano una maggiore disponibilità all'apprendimento ed impartiva loro lezioni di italiano, e di altre materie, senza ricompensa, con umiltà, amore e pietà religiosa.
La pietra più pesante e difficile da rimuovere era rappresentata dalle famiglie: ogni suo componente costituiva una unità di forza-lavoro da utilizzare per la sopravvivenza già dalla tenera età, purché fisicamente sano e forte. Egli, con l'imponenza nell'aspetto e dello sguardo, quasi possedesse un carisma che gli deriva dalla cultura, dalla serietà e dall'impegno quotidiano, poteva riuscire nell'intento: parlava la loro stessa lingua albanese, pulsava nelle sue arterie lo stesso sangue e lo sesso spirito fiero e testardo di lottatore instancabile di fronte alle difficoltà.
Grazie alle iniziative di Don Bernardino, proiettate come un ponte verso il futuro, molti giovani affrontarono da privatisti gli esami al magistrale o conseguirono altri diplomi e si avviarono decorosamente nel mondo del lavoro.
Ai genitori, incontrandoli lungo le vie del paese, in chiesa o nelle case, raccomandava fino alla noia di rispettare la domenica come giorno di riposo settimanale, da dedicare principalmente alla famiglia nel suo insieme e ai figli, che, per crescere avevano bisogno anche di una carezza, di coccole e di un
po' di affetto. Questo, a suo parere, era il primo segno di emancipazione e alla loro
disponibilità materiale era possibile offrire in dono la parola di Dio.
Molti cittadini di Falconara Albanese, ancora oggi, ricordano il suo impegno nel disbrigo di pratiche a quanti volevano emigrare all'estero, specie in Argentina e nell'America centrale, o per rintracciare parenti e amici lontani, dei quali si erano perse le tracce, con le lettere che inviava ai vari consolati.
Non è dato sapere quale posizione politica egli abbia assunto durante il ventennio fascista. Ritengo che, nel suo animo, abbia rigettato quella teoria, anche se nella vita di ogni giorno non poteva fare a meno di confrontarsi con i suoi rappresentanti locali, instaurando una convivenza pacifica, senza compromessi o confusione di ruoli, convinto che fosse un destino ineluttabile e duraturo. Una chiara manifestazione del suo pensiero si trova nelle collaborazioni al giornale dei cattolici cosentini «La Voce Cattolica», fondata nel 1898, che divenne, successivamente, nelle mani di Don Carlo De Cardona lo strumento e il veicolo per la diffusione delle idee del partito dei cattolici della Provincia. Il nome di Don Bernardino Lupi è stato più volte ricordato nei convegni
decardoniani, organizzati a Cosenza nei decenni successivi alla sua morte.
E' vero che la società meridionale, specie nella prima metà del secolo scorso, deve essere grata a tanti suoi sacerdoti zelanti, che coltivavano l'ideale di un'autentica solidarietà. Essi hanno messo a disposizione degli altri, per il loro bene, la cultura e l'esperienza; hanno contribuito con umiltà e fierezza a smuovere le menti assopite, a far prendere coscienza della realtà sociale e quotidiana e a far sollevare il capo, con spirito religioso e dignità. Molte sono le testimonianze di storici locali e di persone che hanno vissuto in quegli anni, e Don Bernardino rappresenta sicuramente un esempio significativo che comprova la tesi.
La società di oggi, purtroppo, è crudele e dissacrante: quando l'individuo non è in grado di produrre ricchezza, viene buttato nello scatolone dell'oblio come un elettrodomestico fuori uso nell'immondizia a marcire.
~ Intervento del Dott. Settimio Genoese
~
(art. tratto da «Calabria Letteraria N. 7-8-9 2002»)
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