La Storia.

Mancano documenti certi sull'anno preciso della sua fondazione. Le uniche notizie scritte si possono trarre dalla "Rivista  Calabrese", fondata dallo storico, sacerdote, G. B. Moscato di San Lucido, che aveva tra i suoi corrispondenti Ferdinando RIGGIO (promettente letterato Falconarese), e risalgono alla fine dell'ottocento. Il giovane scrittore, poi emigrato in America, ha lasciato solo dei manoscritti. Il Moscato dice che fu fondata da "sette famiglie" (Musacchio, Manes, Fionda, Josci, Candreva, Staffa, Scuragreco) giunte in Calabria nel 1487, quando Elena (o Eleonora), sorella di Giovanni Castriota (il regnante d'Albania) e figlia di Giorgio Castriota detto SKANDERBEG (Beyalessandro allusione ad Alessandro il Grande "MAGNO"), andò in sposa al principe di Bisignano Sollazzi i cui antenati già nel 1229 erano i più ricchi e potenti signori della Calabria, i cui possedimenti arrivavano fino in Puglia. I profughi che accompagnavano la bella Elena si fermarono dapprima in località San Pietro, forse feudo "abbaziale" sul versante est dell'Appennino costiero che guarda Fiumefreddo (paese limitrofo, vedasi cartina allegata in basso). E vi rimasero per circa trent'anni, finché preoccupati dalla visione di "vele  nere", simbolo dei corsari Turchi, risalirono verso l'interno. L'insediamento del primo nucleo del paese avvenne presumibilmente nel 1517 e fu quello dei rioni "MANESATO" (dove sorse la  prima chiesa dedicata  a "Sant'Attanasio") e "KURTINA". Ferdinando Riggio concorda col Moscato sulla data di arrivo in Calabria, ma non sull'anno in cui essi cercarono un luogo più tranquillo tra i monti. Forse fu il 1555 e lo si deduce da un "ricordo" dei registri parrocchiali del 1588 del parroco Nicola Barone da Longobardi. Riggio asseriva che tra il 1487 e il 1555 i Falconaresi risiederono altrove. La tradizione orale colma questa assenza di ricordi, secondo la quale, «Falconara Albanese fu fondata dopo del 1468 dalle sette famiglie, su menzionate, provenienti da "CROIA" (città strenuamente difesa da Skanderbeg) e da "SCUTARI" occupate dai Turchi, o da "CORONE"». Le famiglie Candreva e Musacchio erano consanguinee del principe Skanderbeg. Le famiglie Josci e Scuragreco si sono estinte intorno alla fine del XIX secolo. Della prima è rimasto un "toponimo" (letteralmente: nome di luogo) "PRROI (che vuol dire "torrente") - JOSCH" una località fuori dal centro abitato. Dal 1629 giunsero altre famiglie albanesi: "Tocci, Baffa e Formosa". Nel 1700 se ne aggiunsero altre: "Lupi, Genovese, Riggio e Caracciolo". Il 26 aprile del 1468, ricorda la tradizione orale: «il quadro della Madonna degli albanesi (si staccò dall'altare di Scutari) e guidò l'esodo in Italia, oggi è venerata col titolo "del Buon Consiglio"». Questo quadro è ora custodito nel Santuario - Basilica  del "Buon Consiglio" di Genazzano (Roma), chi vuole può anche visitare il sito del santuario (basta cliccare sulla scritta Gennazzano). L'emigrazione albanese è legata sempre agli avvenimenti storici della penisola balcanica, fin da quando l'impero turco riuscì a conquistare le province d'Albania e gran parte dell'Europa. Questa emigrazione è stata la più consistente e coincide con la morte del valoroso eroe Giorgio Castriota SKANDERBEG (avvenuta il 17 gennaio del 1468), il quale combatté arditamente contro i sultani Murad II e Maometto II, e che nel 1459 venne in Italia per portare aiuto al re Ferdinando di Napoli, che combatteva contro Giovanni d'Angiò, e che per venti lunghissimi anni riuscì con abile guerriglia a contrastare e ad arginare l'avanzata islamica. Il re di Napoli era molto orgoglioso dei soldati albanesi, perché dal campo di battaglia uscivano o "vittoriosi" o "morti" a differenza delle altre truppe mercenarie che spesso tradivano "vendendosi" al miglior offerente, nel corso della stessa battaglia. La sua morte segnò l'inizio della decadenza della verdeggiante terra d'Albania, dilaniata da guerre civili e da nemici esterni, venne sottoposta prima al protettorato di Venezia e poi al dominio Turco. I profughi, secondo la tradizione orale in seguito ad un nubifragio approdarono in Sicilia (si veda Piana degli Albanesi) e successivamente, attraverso il Tirreno, nel territorio di Fiumefreddo Bruzio (già citato) di proprietà di Girolamo Sanseverino principe di Bisignano. Il quale li accolse nella zona denominata "Campo", alla periferia del paese. Erano per lo più ex guerrieri ed ex pastori, la Calabria in quegli anni viveva una profonda crisi politica, sociale ed economica, le campagne si spopolavano, si avvertiva il bisogno di manodopera, quegli stranieri resero fecondi i campi! Ma purtroppo l'eterna alternanza Eraclitiana "del  bene e del male", si palesò in un'aspra chiusura dei fiumefreddesi, intimoriti dalle scorrerie dei corsari Turchi, per cui il principe fu costretto suo malgrado ad allontanare quella gente tanto operosa. Altre fonti invece, tramandano che le sette famiglie vollero volontariamente spostarsi perché il piccolo nucleo si stava espandendo e aveva bisogno di più spazio e di altre terre da coltivare. Altri motivi di attrito si possono ipotizzare: lingua, costumi, usi e religione (di rito greco - bizantino) che sono le coordinate di un popolo e che rendono difficile l'integrazione con altre comunità in pochi anni. Dapprima si stabilirono in una zona denominata "San Pietro"  poco distante dal litorale compreso tra il territorio di San Lucido e quello di Fiumefreddo, delimitato dalle località di "Malpertuso" e "Fabiano", zona ricca di vegetazione e con un clima mite. Sui terreni di Nicola Ringo (di cui rimane tutt'oggi l'aia dove ballavano la "vallja") iniziarono a costruire semplici abitazioni ed una chiesa. La paura dei Turchi li costrinse a risalire nell'entroterra e a fermarsi lì dove oggi sorge Falconara. Questo episodio è ricordato in una "vallja" (tipica danza albanese accompagnata dal suono di un tamburo), un'anziana del gruppo scorse le vele di una nave Turca che si stava avvicinando alla costa, dopo un attimo di smarrimento pronunciò le famose parole: "o quella gentile rosa della mia nuora, quella rosa di mia figlia, per prendere le montagne su via lasciate la danza, perché è arrivato il Turco apportatore di lacrime". Un'altro letterato falconarese Felice Staffa (1801-1870) fornì a Cesare Malpiga (scrittore calabrese dell'epoca) un'altra versione dei fatti: "diciassette famiglie per un totale di circa cento persone lasciarono Corone guidate dal barone Nicola Staffa, su sei piccole navi calabre e approdarono nel territorio di Fiumefreddo. Racconta il Malpiga :" durante una notte piovosa e gelida errando di valle in valle, di vetta in vetta, per forre, per torrenti e burroni, al nascere dell'alba, giunsero al poggio, al vertice di un colle, antico nido di falchi, ove i soli stranieri che possono fendere l'aria sono le aquile delle alpi e gli uccelli d'africa. Innanzi a tutti van due d'età matura, diversi d'abito e d'aspetto. Uno ha per tutt'arma la scimitarra, l'altro inerme ha lunga veste oscura scinti i  capelli e si appoggia ad un vinchiastro. Raggiunta la vetta, si arrestano tutti. I due salgono sopra un'altura più elevata, e guardano attentamente giuso ed intorno. Un grido di giubilo percuote l'eco delle montagne: ognuno accenna al compagno ed alla sua diletta la nuova terra; Poi tutti proni alzano le mani al cielo in atto di ringraziamento, mentre quelli con la veste oscura li benedicono (i sacerdoti), dopo aver benedetto i romiti poggi". Tale versione poetica, ricorda Enea all'arrivo nella terra di Latino! Nell'Opera "Dizionario dei luoghi della Calabria", lo storico Gustavo Valente, afferma che il territorio di Falconara Albanese a quel tempo era un casale di Fiumefreddo Bruzio e come tale ne seguì le vicende feudali. Fino al 1528 era un possedimento dei Sanseverino, da quella data fino all'eversione della feudalità (1806) fu dei marchesi di Rende. Era una folta selva, piena di animali feroci ed abitata da qualche famiglia di pastori, alle sette famiglie fu concesso il diritto di pascolo, di legna, l'uso delle fonti, la possibilità di disboscare e di coltivare i terreni. In cambio dovevano lavorare gratuitamente, per un certo numero di giorni l'anno nei terreni di esclusiva proprietà della baronia e dare tributi in natura. Così incoraggiati dalla presenza di materiale utile per la costruzione, iniziarono ad edificare i primi pagliai, a disboscare, a seminare e a condurre al pascolo le loro pecore per avere latte e lana; altri si dedicarono alla caccia. I primi anni furono caratterizzati dalla miseria! Le precarie condizioni economiche impedivano ogni forma di sviluppo e li costringevano a vivere nell'ignoranza. L'isolamento geografico e il linguaggio incomprensibile per gli abitanti dei paesi limitrofi, la diversità del carattere ed il rito religioso (greco-bizantino) segnarono la loro esistenza! Finalmente attenuatosi la paura dei Turchi si divisero il territorio e diedero il nome a molte località. Manesato esiste ancora oggi (era il pezzo di terra abitato dai Manes) e dove sorse la prima chiesa dedicata a Sant' Attanasio. Del rione Staffa oggi resta soltanto una piazza dedicata a Felice Staffa (poeta già menzionato). Altre denominazioni risalgono a peculiarità della vita delle sette famiglie. Ad esempio "Prroi i Markes" il ruscello della Marchesa di Mendoza la quale quando si recava a Falconara era solita fermarsi in quel luogo. Con gli anni giunsero altre famiglie albanesi che diedero nomi ad altre zone del paese ("Kroi i Sikurit"  letteralmente fontana dei Sicuri). Intorno alla fine del XVI e del XVII secolo furono registrati nel comune di San Lucido dei cognomi di origine albanese. I rapporti tra i Falconaresi, i Sanlucidani e Fiumefreddesi  si sono consolidati via via col trascorrere degli anni. Originariamente si chiamava solo Falconara infatti in un documento del 1212 proveniente dalla Germania, si fa riferimento ad un privilegio concesso dall'imperatore Federico II al Papa, che riguardava la chiesa cosentina: Rende e Casali. Fra i casali di Rende figurava "Falkunaria". Il Marafioti conferma che Falconara originariamente era un Casale. Altre fonti fanno risalire l'origine del nome al falco un uccello che Nidificava nelle crepe del "Castelluccio" altre ancora da "Falcone" un'antica macchina da guerra usata per la difesa dagli assalti dei pirati. Dal 1863 invece assunse l'attuale nome di: "Falconara Albanese" o "Fallkunara Arbëresh". Le principali attività lavorative furono l'agricoltura, la pastorizia e l'industria (non come la si intende oggi) dei bachi da seta. All'inizio del XX secolo anche Falconara fu "flagellata" dal fenomeno della "migrazione di massa" verso il nuovo continente (America del nord e del sud). In origine la popolazione ammontava a non più di 270 anime, aumentò fino a raggiungere il picco massimo nel 1951 di 2372, attualmente  la popolazione ammonta a circa 1510 persone.

Da un documento olografo del 17 ottobre 1872 N. 219 (del Municipio di Falconara Albanese), firmato dall'allora Sindaco Giovanni Petrucci si evincono le seguenti notizie (cito integralmente il testo, del quale posseggo una copia):

Notizie per una illustrazione Storica Circondariale.

  1. La natura e coltura del terreno è seminatorio, pascolatorio, pietroso, con gelsi, ulivi, fichi, viti, querce, boschi e con altri svariati frutti.

A nessun cataclisma è andato mai soggetto.

  1. I fiumi sono due. Uno appellasi "Peschiera", lungo il quale vi sono delle bellissime, grosse e squisite trote e si unisce col fiume "Flaviano", che divide questo territorio da quello di Fiumefreddo Bruzio, e l'altro "Malpertuso", che separa questo comune da quello di San Lucido. I monti principali sono: "Timpa del Cozzo", "Bicatundo" e "Frozzo".

  2. La situazione del paese è piuttosto piana e con poco pendio, ed è circondato da monti non in molta lontananza. E' di aria salubre e contiene fresche ed abbondanti acque. Dista dalla marina chilometri tre e metri settecentoquattro, da Fiumefreddo capoluogo del nostro mandamento, chilometri sette e metri quattrocento sette ed egualmente da qui a San Lucido.

  3. Le industrie principali sono l'agricoltura e la pastorizia. Le risorse degli abitanti sono il grano, il granturco, le patate e gli altri cereali in generale.

  4. Questo suolo fu teatro di sangue, d'incendio e di rovina nel 1806, per opera delle orde brigatesche e dei francesi.

  5. Non vi sono edifizi di solidità speciale, né castelli. Evvi però in paese nel cerchio dei monti al nord una rupe gigantesca, isolata, consistente in una grossa ed altissima pietra che sembra da ogni parte tagliata a picco, che fa ammirazione e desiderio, denominato "Castelluccio". Sul vertice di essa, proprio sù esiste una cappelluccia consacrata alla Vergine Madre Assunta, ove si accede dalla parte superiore, a mezzo di una scala di fabbrica attaccata allo stesso macigno, composta di novantatrè gradini di pietra lavorata, terminati i quali si giunge alla cappelluccia suddetta, preceduta da un atrio alquanto spazioso, e prodigiosamente su quella rupe dura selce nacque tutto un bosco di elci grossissimi, ornato da per sé, naturalmente, di alberi fruttiferi di ogni sorta, coronando l'oratorio di rami perennemente vestiti di fronda, e dei fiori cilestri a festoni che scendono pendenti intorno. Quella rupe è una vera foresta slanciata in aria, ivi si solennizza con molta devozione, per le cure dell'avvocato "Nicola Davide Riggio"  una brillante festività il 15 agosto di ogni anno, preceduta da una quindicina che principia il primo dello stesso mese. Le vie del quartiere sottostante si denominano pure Castelluccio fin dall'origine del paese, che rimonta a circa quattro secoli, per essere stato fondato tra il 1478 ed il 1492; Falconara fu colonia albanese fondata da "sette nobili famiglie", le quali seguirono i figli di Giorgio Castriota re di Albania, che furono costrette ad abbandonare patria, regno e ricchezze, perché sopraffatti dalla potenza ottomana. Di queste sette famiglie, che sono: "Musacchio, Staffa, Manes, Fionda, Josci, Candreva e Scuragreco", alcune appartenevano al Castriota per ragione di parentela, cioè Giovanni Musacchio conte di Musachiena, era nipote del re Giorgio Castriota, e Paolo Manes stretto consanguineo di lui, come appare da un diploma di Giovanni d'Aragona, re di Sicilia. Le altre cinque famiglie erano distinte per nobiltà e gradi militari, tutte compromesse alla famiglia reale per giurata fedeltà ed attaccamento. A misura che aumentava il numero degli abitanti si ridestava in essi l'amore alle lettere, ed infatti, in tutti i tempi non mancarono uomini illustri e letterati. (Poi l'autore continua con una digressione sui personaggi illustri del paese, che sono trattati nella sezione a loro dedicata e conclude dicendo...). L'ingegno poi nella musica, poesia, lettere, scienze e maneggio d'armi, se si coltivasse, non sarebbe differente dalla prima età.

 

Il Sindaco Giovanni Petrucci.

 

La maggior parte delle notizie su riportate sono frutto di ricerche e di disamina dei numerosi testi pubblicati negli ultimi anni, ma anche di testi della seconda metà del 1800. Tra le fonti consultate vi è anche il testo «Falconara Albanese, tra storia e tradizione» scritto da S. Genoese, scrittore falconarese.

 


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