La Pasqua «Arbëreshe» a San Demetrio Corone.
Negli stanziamenti Calabro-Albanesi
ancora legati al Rito Bizantino, un aspetto peculiare della
Pasqua è l’anticipo di ventiquattro ore della Resurrezione di
Cristo. Ciò si spiega in quanto le funzioni pasquali non essendo
legate agli orari stabiliti dalla Liturgia Latina, li anticipano
di ventiquattro ore. E così, la Resurrezione inizia la notte di
sabato, notte in cui a San Demetrio Corone, San Cosmo Albanese, Vaccarizzo Albanese e San Giorgio Albanese, vige la consuetudine
ancora molto radicata secondo la quale i fedeli di ogni età si
recano a piedi presso una fontana posta fuori dal centro
abitato, in assoluto silenzio. Qui giunti, una volta sorseggiata
l’acqua - a San Demetrio Corone l’usanza si rinnova nella
‘fontana dei monaci’, in prossimità dell’antico monastero di
Sant’Adriano - ritornano in paese tra gli echi del “Kristos
anesti” (Cristo è risorto). Per non essere indotto a trasgredire
la regola che impone il silenzio ed essere così spinto a
parlare, c’è ancora chi, tra le donne specialmente, si munisce
delle “dokaniqje”, bastoni dalla estremità biforcuta pronti a
essere tirati addosso a chi induce a infrangere la regola. Sul
significato di tale rito, la risposta più attendibile si
potrebbe trovare nel passo del Vangelo in cui le pie donne,
recatesi sul luogo di sepoltura di Gesù, osservarono il più
cauto silenzio nel timore di essere scorte dai soldati di
guardia. Una volta giunte sul posto, solo quando un angelo
appare annunciando loro la Resurrezione, esse riprendono a
parlare. Ricollegandosi ad una arcaica credenza popolare, il
rito legato all’andare a bere (oppure ‘rubare’) l’acqua la sera
del Sabato Santo potrebbe anche trovare spiegazione nella
antica convinzione, diffusa in diversi centri della regione,
secondo la quale al momento del Gloria il prezioso elemento che
sgorga dalle fontane è benedetto. Più tardi, davanti al sagrato
della chiesa parrocchiale, i fedeli danno fuoco al tradizionale
falò pasquale (qerradonula), attorno al quale elevano canti e
preghiere. All’alba di domenica, chiamati a raccolta dalle
campane, i fedeli accorrono per prendere parte al suggestivo
rito della “Fjalza e mire” (la buona parola o novella). La
cerimonia ricorda l’ingresso di Gesù negli inferi, la
resurrezione dalla morte e la riconquista del Paradiso e ha
come protagonista il sacerdote e il sagrestano. Il papàs, munito
di una croce, bussa sulla porta della chiesa chiusa all’interno
dal sagrestano - che interpreta il demonio il quale “provoca”
sinistri suoni - fino a quando non vince la resistenza del
“maligno” ed entra nel sacro edificio seguito dai fedeli.
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