Falconara Albanese, 24 Aprile 2006

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La Pasqua «Arbëreshe» a San Demetrio Corone.

Negli stanziamenti Calabro-Albanesi ancora legati al Rito Bizantino, un aspetto peculiare della Pasqua è l’anticipo di ventiquattro ore della Resurrezione di Cristo. Ciò si spiega in quanto le funzioni pasquali non essendo legate agli orari stabiliti dalla Liturgia Latina, li anticipano di ventiquattro ore. E così, la Resurrezione inizia la notte di sabato, notte in cui a San Demetrio Corone, San Cosmo Albanese, Vaccarizzo Albanese e San Giorgio Albanese, vige la consuetudine ancora molto radicata  secondo la quale i fedeli di ogni età si recano a piedi presso una fontana posta fuori dal centro abitato, in assoluto silenzio. Qui giunti, una volta sorseggiata l’acqua - a San Demetrio Corone l’usanza si rinnova nella ‘fontana dei monaci’, in prossimità dell’antico monastero di Sant’Adriano - ritornano in paese tra gli echi del “Kristos anesti” (Cristo è risorto). Per non essere indotto a trasgredire la regola che impone il silenzio ed  essere così spinto a parlare, c’è ancora chi, tra le donne specialmente,  si munisce delle “dokaniqje”, bastoni dalla estremità biforcuta pronti a essere  tirati addosso a chi  induce a infrangere la regola. Sul significato di tale rito, la risposta più attendibile si potrebbe trovare  nel passo del Vangelo in cui le pie donne, recatesi sul luogo di sepoltura di Gesù, osservarono il più cauto silenzio nel timore di essere scorte dai soldati di guardia. Una volta giunte sul posto, solo quando un angelo appare  annunciando loro la Resurrezione, esse riprendono a parlare. Ricollegandosi ad una arcaica credenza popolare, il rito legato all’andare a bere (oppure ‘rubare’) l’acqua la sera del  Sabato Santo potrebbe anche  trovare spiegazione nella antica convinzione, diffusa in diversi centri della regione,   secondo la quale al momento del Gloria il prezioso elemento che sgorga dalle fontane è  benedetto. Più tardi, davanti al sagrato della chiesa parrocchiale, i fedeli danno fuoco al tradizionale falò pasquale (qerradonula), attorno al quale elevano canti e preghiere. All’alba di domenica, chiamati a raccolta dalle campane, i fedeli accorrono per prendere parte al suggestivo  rito della “Fjalza e mire” (la buona parola o novella). La cerimonia ricorda l’ingresso di Gesù negli inferi, la resurrezione dalla  morte e la riconquista del Paradiso e ha come protagonista il sacerdote e il sagrestano. Il papàs, munito di una croce, bussa sulla porta della chiesa chiusa all’interno dal sagrestano  - che interpreta il demonio il quale “provoca” sinistri suoni - fino a quando non vince la resistenza del “maligno” ed entra nel sacro edificio seguito dai fedeli.

Fonte: Adriano Mazziotti


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